Riforma pensionistica, mastrocinque: diamo risposte chiare ai non garantiti, giovani, donne e precari
Il patronato Inac monitora con attenzione i lavori inaugurati dalla Ministra del Lavoro al tavolo di confronto sulla riforma pensionistica e offre un contributo al carteggio dialetto appena aperto.
Che non ci siano soldi per finanziare la flessibilità in uscita non è una novità, ma in attesa di trovare soluzioni meno costose, la strada indicata dalla titolare del Dicastero appare chiara: redigere un quadro stabile di norme che consentano ai singoli di scegliere come eventualmente provvedere a integrare gli assegni, con congruo anticipo e in maniera sostenibile.
Ad attendere risposte oggi, non sono solo i lavoratori "garantiti", ovvero i dipendenti pubblici e privati con carriere stabili e retribuzioni crescenti, ma soprattutto la stragrande platea dei precari, che non riesce a collocarsi nel mondo del lavoro prima dei 30 anni, e che viene sottopagata e sfruttata grazie alla complicità di una destrutturazione avanzata dei contratti di lavoro.
"Con queste premesse l'obiettivo "Quota 41", ovvero la possibilità per tutti i lavoratori di accedere alla pensione con 41 anni di contributi indipendentemente dall’età proprio non sta in piedi" tuona il presidente del Patronato Alessandro Mastrocinque, che punta il dito contro il sistema delle quote. A questo si aggiunge l'esborso oltremodo oneroso. Infatti secondo le stime dell’Inps, Quota 41 costerebbe più di 4 miliardi il primo anno e poi via via di più, per un costo di 75 miliardi in dieci anni.
Intanto le strade percorribili sono sempre le stesse: fissare delle soglie d’età accanto al requisito dei contributi; introdurre penalizzazioni sull’importo della pensione per chi va via prima; calcolare tutto l’assegno con il metodo contributivo (come con Opzione donna)."Dobbiamo offrire risposte soprattutto chi ha carriere lavorative discontinue, con rapporti di lavoro precari e basse retribuzioni, che rischia di avere pensioni da fame" continua Mastrocinque. "La riforma deve essere plasmata su una solida impalcatura di misure a sostegno della buona occupazione dei giovani e con nuove forme di pensione minima".
Quindi si dovrebbe articolare una certa flessibilità intorno ai 67 anni d’età per chi sta nel retributivo e nel misto, con gli inevitabili aggiustamenti dell’assegno per chi esce prima. Nel contributivo è già previsto che si possa lasciare il lavoro a 64 anni, a patto però di aver maturato una pensione pari a 2,8 volte l’assegno sociale: un paletto che premia ancora una volta le carriere forti.
"La mole di lavoratori dipendenti iscritta a fondi di secondo pilastro per la destinazione del Trattamento di Fine Rapporto è altissima. Basterebbe incrociare i dati delle agenzie assicurative con quelli delle imprese per tratteggiare il grande timore espresso dai lavoratori italiani rispetto alla contribuzione maturata" continua. "Per questo la previdenza complementare è un'azione già acclarata dalle circostanze e dagli andamenti del mercato del lavoro. La riforma pensionistica non può prescindere da una vera grande riforma del lavoro" conclude.